Il dorso della mano che improvvisa una cantilena ondeggiando sulla tovaglia, lo sguardo spalancato laggiù, dove non si vede niente, non abita nessuno. Anna è sola, seduta ad uno dei tavoli agitati dal trambusto della festa. La sorprendiamo così, divisa da tutto, la mente intenta a vacillare, la mano che irrompe nella monotonia dei capelli separandoli ciocca a ciocca, come con i pensieri. Da un momento all’altro, senza preavviso, il mondo le è sfuggito via.

I musicisti si rincorrono e gli invitati si precipitano a ballare, mentre lo sposo e la sposa si abbracciano con le vene in stato di ebbrezza, gli entusiasmi già accesi per il nomadismo ordinato del viaggio di nozze che li aspetta. Tutti felici, tutti personaggi insoliti di quella strana avventura che dura solo un giorno, il matrimonio, moltiplicazione calda e liquida di stati d’animo, leggera. Anna sono io, ma se penso a me lì, in quel momento, avvolta in una solitaria e ipnotica messinscena che tanto somiglia al bianco e nero ingarbugliato di un circo, seduta nella sala ricevimenti del matrimonio della mia migliore amica, io non mi riconosco. Per questo parlo di Anna e non di me.

Fino a un momento fa i bambini erano tutti a giocare, i camerieri correvano da una parte all’altra della sala dandosi spallate, ed io ero in piedi che sorridevo. Serena, castana, il solito umore limpido, acceso e carico di gioia, senza ombre. Fino alla domanda. Una domanda – già, a volte ne basta una sola. Ogni volta che incontravo Sandro, me ne faceva una delle sue. Di solito gli raccontavo qualche avventura e finiva lì, tutto procedeva bene, ore ed ore a parlare di me, di lui, della nostra generazione, di lavoro e di futuro, e invece stavolta slancio la risposta il più lontano possibile come un animale che si difende, senza capire bene il perché. Piego la testa, mi volto e vado via, così. Un chiasso dentro mi terrà incollata alla sedia per due ore e quaranta minuti, secondi interminabili.

Certe domande sono finestre dalle quali ci affacciamo per vedere tutto di noi, e io ho visto. Come un visitatore assisto al quadro degli ultimi quattro anni della mia vita, che ora mi singhiozzano dentro come un rimprovero, un urlo, una richiesta di liberazione improvvisamente sono incastrata tra me e un’altra me, tra me e l’immagine di quello che poteva accadere, e invece non è accaduto. Dove sono andati a finire i progetti che avevo? Testa in alto, seconda stella a destra. Dove? Non lo sapevo, io non sapevo che sono quattro estati e quattro inverni che me ne stavo nell’angolo a guardare le cose senza guardare niente, io non avevo proprio capito. E adesso era bastata una semplice domanda perché mi sfuggissero via le risate e tutta l’aritmetica del mio mondo. Il passato, con i suoi sogni, mi aveva sopraffatta ingoiando il tempo.

Anna è quest’immagine di me, capovolta come una tartaruga che tenta di procedere piegata all’ingiù, incapace di difendere la gabbia degli ultimi anni. Anna tenta di richiamare indietro quel presente disinvolto con cui negli ultimi anni ha gesticolato la sua vita, ma non ci riesce – mi sale addosso una nausea di speranze precipitate. Precipito.

 In principio, mi dico, era stata la necessità, il bisogno urgente di lavoro, perché per poter frequentare un corso di Wedding Planner, dovevo guadagnare. Diventare una Wedding Planner, era questa la mia aspirazione: tirare fuori tutte le immagini che avevo percorso con la laurea in Storia dell’Arte e trasformarle in metafore di un’altra cosa, renderle irriconoscibili dando vita ad un racconto. Ascoltare, creare, pianificare, comunicare, intermediare, risolvere, studiare, organizzare e gestire un’idea, trasgredire l’avventura rigorosa dell’Arte con la cultura di chi organizza un evento – perché no? Animare una storia, questo volevo fare. Realizzare una geometria nella quale fluttuano e si rincorrono i paesaggi-stati d’animo di chi celebra la sua relazione, era questo il mio sogno. Invece ci finisco dentro, nella geometria voglio dire mi sono persa, nel percorso lineare di una vita lineare mi sono persa. Dopo il corso ricordo solo tanta confusione. La difficoltà di entrare nel giro e raccogliere contatti, l’isolamento, la mancanza di guide che mi orientassero nella professione, e allora la paura, l’abbattimento, la stanchezza, l’offuscamento del coraggio, la vergogna, perché non è facile costruirsi una reputazione solida dopo le prime consulenze, soprattutto se con questi lavori ci guadagni poco, e il bisogno di soldi ti costringe ad accettare lavori che con l’organizzazione di eventi non c’entrano. Per guadagnarmi da vivere e tenere in piedi il progetto di diventare una Wedding Planner, ho fatto la cameriera, la commessa, la segretaria part time, finché in quest’ultima azienda ci sono rimasta a tempo pieno, finché qui, ho dimenticato tutto. Non avevo più tempo – non ho avuto tempo. Non ho tempo. Innocentemente avevo preteso di investire nel mio sogno lavorando e di lavorare restandogli accanto, ed è probabile che avessi uno schema prestabilito della cosa – si cerca la strada, si insegue tenacemente la strada, si cammina a fatica per la strada, e invece mi sono persa, lo schema non ha funzionato.

Mentre scrivo e mi leggi, sto fumando la seconda sigaretta della seconda fase d’insonnia di quella notte, non riesco a smettere di pensare alla ragazza solitaria seduta nel suo circo. Sono alle strette tra me e lei, tra la mia vita e il sentimento di non averne una davvero mia. Il mondo poteva continuare ad andare avanti così, carillon sordo, sempre uguale, sveglia colazioni lavoro pranzi lavoro cene mesi, una lunga e immobile corsa, e invece basta niente a ribaltarti come fa una spinta, a mutare un’immagine di te in un’altra immagine della vita.

Forse, mi dico, l’unica cosa da fare è partire da lei, da Anna, da quell’immagine di me capovolta come una tartaruga che tenta di procedere piegata all’ingiù, ripartire dal suo bilancio, dalla sua consapevolezza di dover interrompere una certa danza, respirare e ammettere che ho ceduto al tranello del poi, che ho ceduto al tranello del “non dimenticherò”, ho ceduto alla trappola, agli imbrogli del tempo.

Come sono tanti questi trentadue anni, e come sembra tardi certe volte. E come poi sembra presto, come adesso, che tutto mi sembra ancora possibile. Respiro mi sale addosso il futuro.

 

Valentina Chiefa

AstrOccupati | Storie di vita interiore dei Lavoratori

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