La strana, improvvisa, abitudine di dondolare era diventata quasi patetica, ma inevitabile. Da giorni non facevo che dondolare, a lungo, con tutti e per ogni cosa. Dondolavo perfino da solo, che so, a casa mentre mi preparavo la cena. E se non dondolava qualche parte del mio corpo, mi oscillavano dentro i pensieri, di qua e di là, senza una direzione che fossi capace di afferrare. Quelli continuavano, dondolavano, non smettevano mai di darmi il tormento.

Fu un giorno e d’improvviso che afferrai la faccenda. Capii che quell’insistente dondolare non era altro che la ribellione della mia vivacità, della mia furia di ragazzo, da tempo messa nell’angolo. Quel dondolare era una sveglia affinché mi mettessi in piedi come una bandiera, perché mi preoccupassi di non cadere nelle trappole della stanchezza, di una vita svogliata, quasi cerimoniosa. Ero diventato un topo intrappolato? La mia vita: una ritirata lenta, troppo lenta, lontana da me.

Il dondolio adesso aveva costruito un bivio, e dovevo scegliere, non avere paura. Ed io scelsi.

Il giorno lo ricordo bene. Metto il piede sinistro sul rombo bordeaux del pavimento, nel mio ufficio, ma solo dopo averlo esaminato con scrupolo, come se scegliere lo spazio per atterrare fosse decisivo. Con la stessa feroce accuratezza metto giù l’altro e mi alzo dirigendomi verso la porta, il busto tanto eretto da spaccare in due la nuvola di fumo che per ore ho prodotto e meditato nella stanza. Mai stato tanto risoluto, diritto. Apro la porta. Per i corridoi dell’ufficio, il solito tran tran della grossa agenzia immobiliare, roba da tapparsi le orecchie. Drindrin e voci agili, convinte come pallottole, drindrin di soldi da acchiappare con trucchi sapienti, drindrin di accordi e parole gonfie come rane. Io cammino e ascolto tutti i miei colleghi, il loro dizionario di case e palazzi, computer e contratti al dente, il portamento nitido e senza paura col quale gesticolano “la” grande sicurezza, la stessa che ha sempre fatto parte anche di me, della mia anima di venditore che prestissimo, già dopo il diploma, mi ha orientato verso la professione di Agente immobiliare. Mi guardano che passeggio con la faccia ridente in direzione dell’uscita, e mentre mi fissano per pochi secondi dal basso delle loro scrivanie, invidie, compiacimento, disprezzo, io fotografo tutto per l’ultima volta, chiudo la porta e, non avere paura, vado via.

Ho lasciato il mio vecchio lavoro così, senza girarmi indietro neppure una volta. È curioso come si possano prendere di colpo certe decisioni.

È stata la crisi del mercato immobiliare a farmi questo scherzo, ma non è andata come si potrebbe immaginare. Tempo fa, per attrarre nuovi clienti, la mia vecchia agenzia decise di integrare i servizi offerti con quello dell’Home Staging, e per il corso, fra tutti, scelsero me. Sembravo il più indicato vista la mia predisposizione per lo studio, la mia decantata attenzione per la riorganizzazione degli spazi, la scelta di materiali, arredi, la mia quasi ossessione per la ricerca della luce e dei colori. E per la fotografia, che, da sempre, è la mia grande passione. Il corso come Home Stager mi stravolge.

Fin da subito, l’attività si concilia bene col mio carattere: l’Home Staging permette di dare una nuova possibilità alle cose, e questo mi entusiasma. Bisogna neutralizzare lo spazio, creare sottrazioni, iniziare un percorso di “svuotamento”. Le case vengono restituite pure per un futuro nuovo, per una nuova libertà. Quella spinta di ridare purezza alle cose che è come una strana nostalgia, somiglia agli occhi liquidi dei vecchi e dei bambini. Somiglia alla malinconia delle altalene, la malinconia che appartiene a quelli come me.

Dopo tre anni di consulenze come Home Stager per conto dell’agenzia, a furia di rinnovamenti e sottrazioni, nasce in me il dubbio che stavolta, lo spazio più urgente da svuotare e reinventare dev’essere la mia vita. E così, dopo un lungo periodo di incubazione, lascio il mio posto di dipendente d’agenzia immobiliare e avvio finalmente la mia attività come Home Stager.

Non è stato facile. La fase di analisi e sperimentazione dell’idea che balla con i su e giù continui del mercato immobiliare, la giungla amministrativa e burocratica tipica di chi vuol fare impresa, la pianificazione di costi e rischi, tutti, in modalità snella e sostenibile, per non parlare della ricerca di strategie e strumenti al passo coi tempi, e del resto, un resto enorme, tra cui “le voci”. Tutti a dirmi sei pazzo, un pazzo perché lasci un lavoro sicuro, pazzo perché la figura di Home Stager non è ancora così consolidata in Italia. Ci sono voluti due anni, ma ho capito subito una cosa fondamentale: che non si deve e non si può far tutto da soli. Fin dalla fase di progettazione mi sono affidato a consulenti ed esperti, per ogni settore. Ho ascoltato moltissimo, ho investito, studiato, speso e corso come una lucciola, ho imparato, imitato e inventato strade a partire da errori incredibili e inaspettati, che inaspettatamente guardavo trasformarsi in opportunità. Ho provato a non avere paura. Ho sfruttato la crisi nel miglior modo che ho potuto, perché oggi sempre più proprietari di immobili, per vendere o affittare il loro appartamento senza intermediazioni e nel minor tempo possibile, non riescono a far fronte ad un progetto di ristrutturazione completa, e così, andando nella direzione di piccoli interventi, io ho spinto offrendo la mia consulenza come Home Stager.

Hanno tutti ragione: Giovanni è un pazzo. Ed è vero, sì, sono pazzo perché lavoro come un pazzo, dormo quattro ore e mezzo a notte, studio in continuazione, corro, e sono felice e produttivo come non lo sono mai stato nella mia vita.

Tempo fa, da qualche parte, lessi che lo svuotamento è un ricamo, e che il vuoto è un’azione creativa, che è apertura, grande possibilità. Ecco, io sono un Home Stager e questo è il mio lavoro: tirare fuori dallo spazio un vuoto bianco nascosto sotto la polvere dei colori, quel bianco morbido, pronto per il futuro. Il bianco senza paura. Lo stesso, che ho scelto per la mia vita.

 

Valentina Chiefa

AstrOccupati | Storie di vita interiore dei Lavoratori

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